Komentarz arcybiskupa Gilberto Agustoni
do dekretu Kongregacji ds. Duchowieństwa
Mos iugiter” o Mszach świętych zbiorowych
tekst oryginalny: w języku włoskim

Por. w Internecie:

…/Decreto.html

…/binazione.html

Adaptacja internetowa:

dr Wojciech Kosek

Niniejsze opracowanie zostało opublikowane tutaj 4. września 2018 r.,
dzień po liturgicznym wspomnieniu św. Grzegorza Wielkiego

Decreto della Congregazione per il Clero
le Messe «collettive»
Commento

  1. Il decreto che oggi viene pubblicato è frutto della consultazione di tutte le conferenze episcopali i cui risultati sono stati elaborati da una Commissione interdicasteriale della Curia Romana. Il Sommo Pontefice ha poi approvato, in forma specifica, questo decreto che entra in vigore a norma del can. 8, §1 del CIC. Esso risponde alle ripetute sollecitazioni e alle attese di molti pastori che si sono rivolti alla Santa Sede per avere chiarimenti e direttive in merito alla celebrazione di sante messe che vengono comunemente chiamate «plurintenzionali» o anche «collettive».
  2. Il decreto si divide in due parti: la prima, a modo di premessa, contiene le motivazioni della seconda parte, che è quella dispositiva. Innanzitutto viene asserita la sostanziale identità delle ragioni e dei fini per i quali i fedeli, seguendo una tradizione ininterrotta, veneranda per antichità e per significato, chiedono ai sacerdoti di celebrare il santo sacrificio secondo particolari intenzioni, offrendo loro un compenso – che ai nostri tempi è quasi esclusivamente pecuniario – chiamato con un termine giuridico (invero poco felice) «stipendio», e piú comunemente «elemosina». Sempre nella premessa si passa poi a porre in luce il punto saliente nel quale la prassi, oggetto del documento, si discosta dalla normativa vigente. La legge canonica infatti stabilisce che ogni sacerdote che accetta l'impegno di celebrare una santa messa secondo le intenzioni dell'offerente, deve farvi fronte, per un obbligo di giustizia o di persona, oppure affidando l'adempimento ad altro sacerdote, indipendentemente dall'importo dell'offerta. La prassi anomala invece consiste nell'accettare, o nel raccogliere, indistintamente offerte per la celebrazione di sante messe secondo le intenzioni degli offerenti, cumulando le offerte e le intenzioni, pretendendo di soddisfare agli obblighi che ne derivano con un'unica santa messa celebrata secondo un'intenzione che è realmente «plurima» o «collettiva». Né vale il pretesto che in questi casi le intenzioni degli offerenti vengono specificate durante la celebrazione, perché non si vede in che misura questo procedimento soddisfi l'obbligo di cui al can. 948 del CIC, di applicare tante messe quante sono le intenzioni.
  3. Per meglio illustrare le peculiarità di questa anomalia, il decreto riferisce due fattispecie apparentemente simili a una messa «plurintenzionale», ma nella realtà ben diverse e perciò moralmente lecite. Nell'un caso si tratta dell'uso, che dura ab immemorabili, in certe regioni povere, nelle quali i fedeli portano al sacerdote delle offerte modeste, qualche volta ancora beni in natura, non per chiedere la celebrazione di messe secondo le loro intenzioni singole e particolari, ma per contribuire in generale al culto pubblico della Chiesa e al sostentamento del sacerdote stesso, ben sapendo che costui celebrerà poi delle sante messe per le loro intenzioni e necessità, come di fatto prescrive la legge canonica per i vescovi e i sacerdoti con le messe pro populo e la sensibilità e carità sacerdotale suggeriscono. 
  4. L'altro caso è quello di fedeli che spontaneamente si uniscono tra di loro e si accordano per far celebrare una o piú messe secondo comuni o varie intenzioni, che in realtà confluiscono volontariamente in un'unica intenzione, offrendo la relativa elemosina. Non v'è chi non veda la radicale differenza tra questi usi e la messa «plurintenzionale» di cui sopra. La premessa menziona anche gli argomenti portati dai fautori di tale nuova prassi illecita: li definisce «speciosi e pretestuosi, quando non riflettano anche un'errata ecclesiologia». Non di rado, infatti, si sente ripetere da costoro che la celebrazione eucaristica è un'azione della Chiesa e perciò eminentemente comunitaria; e pertanto sarebbe alieno per la natura stessa della messa l'idea di «privatizzarla», fissando intenzioni particolari, o volendone destinare i frutti secondo i nostri intendimenti.
  5. Queste argomentazioni manifestano la confusione dottrinale di certa ecclesiologia circa i meriti infiniti dell'unico sacrificio della croce, circa la celebrazione del sacramento di quell'unico sacrificio che Cristo ha affidato alla Chiesa, e circa il thesaurus ecclesiae di cui la Chiesa dispone. Né si può dimenticare che la dottrina cattolica ha costantemente insegnato che i frutti del sacrificio eucaristico sono variamente attribuiti: innanzitutto a coloro che la Chiesa stessa nomina nelle «intercessioni» della prece eucaristica, poi al ministro celebrante (il cosiddetto frutto ministeriale), quindi agli offerenti, e cosí via.

    Intanto i sacerdoti che non accettano l'impegno di celebrare la messa secondo particolari intenzioni non si rendono conto di precludere uno dei modi eccellenti per partecipare attivamente alla celebrazione del memoriale del Signore, ricordato dallo stesso papa Paolo VI nel citato m. p. Firma in traditione, proprio mediante l'offerta fatta al sacerdote. Questo è uno dei danni spirituali da paventare di cui parla anche il decreto (cf. art. 2 §3). Vi sono poi coloro che teorizzano sui nuovi e piú adeguati sistemi di sostentamento per il clero, sanciti peraltro nella nuova legislazione canonica. Secondo costoro il sacerdote dei nostri giorni non avrebbe piú bisogno delle intenzioni di sante messe per sopperire ai propri bisogni materiali. Qualcuno trova l'antico sistema addirittura lesivo della dignità dei ministri dell'altare.

  6. Questa è una delle tante illusioni o utopie che mancano di riferimento alla realtà. È infatti dimostrato che la maggior parte dei sacerdoti nel mondo, anche nella società contemporanea, attinge ancora il proprio sostentamento dalle offerte per la celebrazione delle sante messe. Anche molte altre attività apostoliche della Chiesa – dalle missioni alle parrocchie – sono in parte o totalmente sostenute con il ricavato degli «stipendi» o «elemosine» per sante messe. Solo chi vuole scandalizzarsi, dunque, o chi è affetto da uno strano puritanesimo, può ritenere anacronistica o indegna l'antica tradizionale usanza di fare assegnamento sulle «elemosine» per le sante messe per il sostentamento del clero e per le opere della Chiesa. Il decreto usa parole forti e un tono severo nell'attirare l'attenzione dei pastori sul danno incalcolabile che la prassi delle cosiddette «messe plurintenzionali» o «collettive» può provocare nel popolo cristiano sotto diversi aspetti. Il moltiplicarsi di siffatte celebrazioni, o la mancata premura nel cercare di arginarle e di prevenirne la diffusione, portano fatalmente alla disaffezione dei fedeli dall'usanza di chiedere la celebrazione della santa messa per intenzioni particolari, che è pur sempre una testimonianza di fede viva. Anzi ciò mortifica anche un costume cristiano di altissimo valore e spiritualmente salutare: la pietà per i defunti.
  7. In larga misura le intenzioni per sante messe o le pie fondazioni con oneri missari – come ben si sa – sono destinate al suffragio dei fedeli defunti. Parimenti si estenua progressivamente la sensibilità del popolo cristiano per la partecipazione alla vita della Chiesa mediante l'offerta per celebrazioni di sante messe destinate al sostentamento per il clero e alle varie attività di culto e di carità della Chiesa. Le preoccupazioni dovute a questa incauta prassi e piú ancora il pericolo che essa si estenda sono ripetutamente espresse nel decreto, particolarmente nella sua parte dispositiva. Ivi sono infatti stabilite alcune clausole o condizioni di liceità perché si possa fare eccezionalmente ricorso a questa modalità impropria di celebrazione (art. 2).

    Occorre innanzitutto il consenso esplicito dell'offerente che attualmente invece è quasi dappertutto considerato presunto o implicito: ciò che è moralmente illecito.

    Occorre anche che siano indicati chiaramente e pubblicamente luogo, giorno e ora in cui tali celebrazioni avvengono. E siccome si tratta comunque di una modalità che rappresenta un'eccezione nei confronti della norma vigente, il supremo legislatore ha disposto che queste celebrazioni non possono avere luogo piú di due volte per settimana in uno stesso luogo di culto (art. 2 §3), al fine di circoscrivere il piú possibile questa pratica – anche con le condizioni poste per evitare gli abusi – e contrastarne la diffusione.
  8. L'esecuzione pronta e puntuale del decreto è affidata, per la natura stessa delle disposizioni, ai pastori. La gravità dell'impegno è data dal danno potenziale che questa nuova maniera – che deve rimanere eccezione – potrebbe comportare soprattutto sul piano pastorale. Non può neppure sfuggire il monito particolare rivolto ai rettori dei santuari, poiché ivi esistono le condizioni piú favorevoli per ignorare le prescrizioni del presente decreto: perciò li rende responsabili, onerata conscientia, della loro osservanza. È necessario dedicare anche la debita attenzione al contenuto pastorale del decreto in quella parte (art. 7) che invita a cogliere l'occasione della promulgazione di queste norme per promuovere un'opportuna catechesi con l'intento di sfatare alcuni preconcetti in questo campo, che per ignoranza e pressappochismo sono ricorrenti in una certa cultura pseudoreligiosa. 
  9. L'ultimo articolo indica alcuni punti per questa catechesi: riproporre e spiegare il genuino significato dell'offerta che i fedeli portano al sacerdote per la celebrazione di sante messe secondo una particolare intenzione; la preziosità dell'elemosina nella vita cristiana per il suo grande valore satisfattorio; e, infine, l'effettiva partecipazione dei fedeli alla missione della Chiesa con una modalità di «condivisione», rappresentata dalle offerte per la celebrazione di sante messe che vengono distribuite in tutto il mondo. Per un'opportuna riflessione su tutta questa delicata materia è bene ricordare anche gli orientamenti dati dal concilio Vaticano II nel decreto Presbyterorum ordinis: «Quanto poi ai beni che si procurano in occasione dell'esercizio di qualche ufficio ecclesiastico, i presbiteri, come pure i vescovi, salvi restando eventuali diritti particolari, devono impiegarli anzitutto per il proprio onesto mantenimento e per l'assolvimento dei doveri del proprio stato; il rimanente si potrà destinarlo per il bene della Chiesa e per le opere di carità» (PO 17; EV 1/1301). Le offerte per la celebrazione di sante messe rientrano tra questi beni. 

+ Gilberto Agustoni, arcivescovo titolare di Caorle, segretario della Congregazione per il Clero.